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Storie della nostra storia

RITRATTO DI DONNA: LA STORIA DI EVELINA

Nel cuore dell’Asilo Mariuccia, la storia di Evelina Ardani ci parla ancora oggi di riscatto, emancipazione e futuro.

A cura di Giada Andriolo e Paola Furini, Coordinatrici Progetto "Ritratto di donna"

“Come ti promisi, ti voglio illustrare il nostro metodo di vita…”

Cosi scriveva nel 1906 Evelina Ardani in una lettera indirizzata alla madre in carcere. Parole affettuose, impresse su carta ingiallita, custodite tra le pagine d’archivio della Fondazione Asilo Mariuccia, fondata nel 1902 da Ersilia Bronzini Majno e da altre donne illuminate, come la filantropa Nina Rignano Sullam, le attiviste Gemma Griffini, Bice Cammeo, Clara Benetti Ferri, e la poetessa Ada Negri, che pronuncia il discorso d‘inaugurazione il 14 dicembre 1902.

“Non un‘opera di carità, ma una casa che ridia alle giovani la possibilità di rifiorire”, dice Ada.

E la sua voce, quel giorno, lascia un segno: tra le mura semplici dell‘Asilo nasce un progetto di emancipazione che fa della Fondazione un pilastro storico dell’empowerment femminile a Milano.

Atraverso accoglienza, formazione e sostegno sistemico da sempre genera cambiamenti duraturi, in linea con gli obiettivi ONU, e favorisce il pieno rispetto dei diritti di donne e ragazze.

Ersilia Bronzini Majno, femminista laica e pioniera del pensiero educativo moderno, dopo la morte della figlia Mariuccia, trasforma il dolore in un’opera civile: un luogo che accolga, protegga ed educhi bambine e ragazze a rischio prostituzione.

La Milano di inizio 900 - fonte: bellissimamilano.blogspot.com

Siamo a Milano, nella capitale economica d’Italia, una città che corre verso la modernità. Ad inizio secolo i tram elettrici percorrono le vie affollate, i palazzi borghesi si moltiplicano in centro, la Borsa di Milano pulsa di attività: filati di seta, cotonifici, nuove officine meccaniche, banche e fabbriche che cambiano il volto della città.

Le mura spagnole, un tempo confine, diventano circonvallazioni urbane.

La città si allarga, si trasforma; le strade si illuminano, non più a gas, ma di luce elettrica, quella stessa che già nel 1877, aveva rischiarato per la prima volta via Santa Radegonda, accanto al Teatro alla Scala: era la prima illuminazione elettrica pubblica d’ltalia. Nei caffé della Galleria Vittorio Emanuele II, si discutono idee, si scrivono poesie, si progettano riforme.
I salotti culturali si animano: scienziati, pedagogisti, poeti, donne e uomini che vogliono pensare un’Italia nuova.

È un’epoca di slancio, ma anche di disuguaglianza profonda. Basta spingersi oltre il centro elegante per vedere un’altra Milano: popolata di bambini scalzi, madri sole, ragazze troppo giovani già violate dalla vita. È la Milano delle case di ringhiera, dei cortili in ombra, delle stalle trasformate in dormitori. Una città divisa, dove il progresso convive con la miseria.

ritratto di Evelina Ardani - ricostruzione

Evelina arriva poco dopo l’apertura dell’Asilo Mariuccia. Sua madre è in carcere; la cartella personale ha come oggetto: “Ricovero per toglierla alla corruzione materna”. Ma chi conosce Evelina sa che in lei non c’è arrendevolezza, ma tenacia, voglia di imparare e uno sguardo coraggioso.
All’Asilo le giornate trascorrono ordinate: sveglia all‘alba, colazione calda, lezioni di alfabetizzazione e cucito, pulizie a rotazione. Le più piccole vanno alla scuola pubblica; le più grandi, come lei, imparano a prendersi cura di una casa — e di sé stesse. Nel pomeriggio si legge, si ricama, si suona il pianoforte.

Ogni gesto è educazione. Ogni oggetto ha un senso. Ogni ragazza ha un progetto e nuove sfide da perseguire. “Vanità, frivolezze, disordine lasciano spazio a solidarietà, maturità e forza”, scrive ancora Evelina.
Sono parole sue.

La sera si cena presto e alle venti le luci sono già spente. Ma nel dipanarsi della sua vita, una luce comincia ad accendersi: per la prima volta, all‘Asilo Mariuccia, Evelina può immaginarsi un futuro diverso da quello della propria madre.

In quegli anni inizia a credere nel suo sogno: si prende cura delle più piccole con un approccio attento e affettuoso, ponendosi domande sui temi della pedagogia del tempo e dell’educazione delle bambine “meno fortunate”.

La sua storia personale le ha insegnato che proprio perché nate donne, è fondamentale che credano in sé stesse e nelle loro potenzialità, fin da bambine. Alla fine del suo percorso di accoglienza le viene proposta una sfida: dirigere un asilo a Rosarno in Calabria. Accetta.

Studia il metodo Montessori e lo sperimenta con passione. È giovane e capace, soprattutto, consapevole di ciò che ha ricevuto e che vuole trasmettere ad altre giovani.

Da Rosarno continua a scrivere a Milano, con affetto. Nel 1926 arriva all’Asilo una busta elegante: è il suo annuncio di nozze. Un gesto semplice, ma carico di significato. Un cerchio che si chiude.

La storia di Evelina è una tra molte, ma ci parla ancora oggi di dignità, cambiamento, autonomia. Di cosa accade quando una ragazza, invece di essere “scartata”, viene accompagnata a riconquistarsi la propria libertà.

“Sono ormai quattro anni che io sono amata, guidata, protetta dall’Asilo, quattro anni di vita limpida che serberò nella mia memoria come il tempo più bello della mia esistenza…”.

È bello sapere che possiamo ripercorrere la sua storia perché un giorno, aprendo una cartella d’archivio, quelle parole sono riapparse e con esse, il ritratto luminoso di una donna che ha saputo riscattarsi.

Nonostante siano trascorsi oltre cento anni, nel rispetto della sensibilità dei discendenti, la Fondazione e la redazione hanno preferito usare un alias. Ciò che conta é che Evelina può essere ogni Donna.