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Storie della nostra storia

IL 14 DICEMBRE 1902 L’ASILO MARIUCCIA APRE LE PORTE ALLA NON VIOLENZA

La storia dell’inaugurazione dell’ASILO MARIUCCIA, rivissuta attraverso le intense parole della poetessa Ada Negri. La testimonianza di una Milano operosa, concreta e vicina alle fragilità. Una Milano visionaria che attraverso figure come Ersilia Bronzini e istituzioni come La società Umanitaria, l’Università Popolare, la casa di Riposo per Musicisti Giuseppe Verdi, la Clinica del lavoro Luigi Devoto, ha saputo gettare solide e durature basi per la lotta alla violenza sulle donne. Una lotta che per Fondazione Asilo Mariuccia dura da oltre 120 anni.

A cura di Federica Miotti Archivista

“Una cerimonia di inaugurazione è, quasi sempre, una festa. Ma la casa che si apre con questo dolce e tragico nome “Mariuccia” e che oggi noi inauguriamo, accoglierà tra le sue pure ombre tali e orrende miserie, che noi tutti, qui presenti in quest’ora, abbiamo la piena coscienza della gravità dell’opera assunta […] Noi sentiamo che non è, e non deve essere una delle solite forme di carità, le quali non sono che una benda su una piega cancerosa. […] Ma ci sostiene la convinzione che mai donne e uomini, infiammati dallo stesso spirito d’amore, si unirono per combattere ed alleviare miseria più grande.”(1)

Biglietto di invito all’inaugurazione dell’Asilo Mariuccia, 1902, Tip. Nazionale Milano Archivio Fondazione Asilo Mariuccia ONLUS (o Archivio Asilo Mariuccia?) cart. II – 1 “Patrimonio - "Vendite di beneficenza vol. 1"

Così la poetessa e attivista Ada Negri inizia il lungo discorso che sancirà ufficialmente l’inizio della lunga storia dell’Asilo Mariuccia. Ad ascoltarla, in una fredda giornata del dicembre 1902, sono presenti circa 150 invitati: membri della stampa, sostenitori, amici, giunti nel piccolo stabile di via Monterosa nonostante lo sciopero dei tram.

L’inaugurazione dell’Asilo è l’ultima di una serie di iniziative di cui la grande “Milano benefica”, in quagli anni, è teatro: l’Unione Femminile Nazionale, la Società Umanitaria, l’Università Popolare, la Casa di Riposo per musicisti Giuseppe Verdi, la Clinica del Lavoro Luigi Devoto. La cerimonia è sobria, intima, le parole di Ada Negri suscitano grande emozione nel pubblico: eppure, fra gli invitati, manca chi, forse più di qualunque altro, ha rappresentato la forza pulsante dell’istituto.

“Ella non è qui, oggi, Un sacro dovere di famiglia tiene lontana da questo luogo, in questo giorno solenne, la Compagna nostra. Ma noi sappiamo quanta parte di quest’opera è sangue suo: il dolce e tragico nome col quale è stato chiamato l’Asilo, dice a tutti il brevissimo e atroce dramma che oscurò per sempre la sua vita di madre felice.”(2)

Ersilia Bronzini Majno non si è presentata all’evento a causa di un impegno famigliare. In realtà, a tenerla lontana è il timore di rimanere completamente soverchiata dall’emozione nel vedere realizzata l’opera che ha canalizzato tutte le sue energie a partire da diciotto mesi prima, dal giugno 1901, momento in cui la vita la costringe a mettere completamente in discussione il suo ruolo di attivista, di donna e, soprattutto, di madre.

Da dove arriva, quindi, il “dolce e tragico nome”, Mariuccia? Si tratta di Mariuccia Majno, la più piccola figlia dei coniugi Luigi Majno - Ersilia Bronzini, che nel giugno del 1901 non ha ancora tredici anni. La madre si trova a Roma, impegnatissima fra dibattiti e rendez-vous politici - situazione non insolita - ma è costretta ad abbandonare tutto per un evento tragico: un telegramma l’ha appena avvisata della improvvisa scomparsa della piccola, colta da una forma molto aggressiva di difterite. Giunta a Milano in tutta fretta, Ersilia si trova a dover affrontare l’immane tragedia, schiacciata dai sensi di colpa. Si chiede - e le viene, più o meno velatamente, chiesto - se forse, se avesse messo in secondo piano i suoi impegni politici, la sorte di Mariuccia sarebbe stata diversa perché, “l’occhio di una madre vede quello che gli altri non vedono”.(3)

Nei mesi successivi la disperazione è sovrana, Ersilia sembra perdere la verve che fino ad allora l’aveva spinta ad attivarsi senza sosta per cercare strategie e sostenere iniziative volte al sostegno e all’assistenza dei soggetti più fragili della società milanese e non. Nel 1901 fa parte infatti di numerose associazioni, fra cui l’Unione Femminile Nazionale, da lei fondata due anni prima, e il Comitato Contro la Tratta per le Bianche, in seno al quale promuove una serie di inchieste per indagare un fenomeno sempre più manifesto e inquietante: la prostituzione clandestina minorile milanese.

Leggenda vuole che Mariuccia, in punto di morte, “si calmò, sorrise […] le sue ultime parole furono per […] i bimbi poveri”.(4)

Ed è, letteralmente, nel suo nome che l’Asilo apre le porte, come risposta concreta ed immediata al problema dello sfruttamento sessuale femminile, senza formalità burocratiche o distinzione di credo o nazionalità, alle vittime della tratta e alle giovani provenienti da situazioni di estrema miseria, esposte al pericolo della prostituzione.

La creazione dell’istituto è possibile grazie all’azione corale di diverse donne e uomini, appartenenti al Comitato e non, gli stessi che riescono a convincere Ersilia a dedicarsi al progetto. “La fanciulla [NdA: Mariuccia] rivive qui d’una feconda e benefica vita, dando il benvenuto alle giovani infelicissime, che abbandonate a loro stesse, troverebbero nell’esistenza, forse, una condanna ben più terribile della morte precoce”. (5)

Attr. Fotografia Ballerini, “L’Asilo Mariuccia da via Monte Rosa”, 1903 ca., albumina su carta, Milano, Civico Archivio Fotografico, inv. LM 1

L’opera dona a Ersilia la forza di reagire al lutto. Pur non presentandosi all’inaugurazione, l’attivista si dedica anima e corpo all’iniziativa, dal momento in cui il progetto è solo una bozza fino all’ingresso delle prime ospiti. E quando l’Asilo inizia a costituirsi come una delle realtà educativo-assistenziali più originali e apprezzate del tempo, Ersilia si rende progressivamente conto di avere a che fare con il progetto che, più di tutti, costituirà la grande sfida del suo percorso di attivista e, forse, ancora, di donna e di madre.

Dopo i primi anni di attività decide infatti di abbandonare la maggior parte degli incarichi che ricopre per dedicarvisi completamente fino alla sua scomparsa, forse solo parzialmente conscia di aver dato inizio, assieme a un gruppo di donne e uomini determinati a cambiare concretamente le dinamiche di una società ingiusta e opprimente, alla storia di un’Opera che, sopravvivendo a due guerre e a continui mutamenti socioeconomici, rimarrà un punto di riferimento per Milano più di 120 anni.

(1) Ada Negri, Discorso tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’Asilo Mariuccia il 14 Dicembre 1902, da appunti di Luigi Majno in Archivio Storico della Fondazione Asilo Mariuccia ONLUS, cart. [N.C.] “Mariuccine e Buttafuoco”.
(2) Ibidem
(3) Frase in una lettera del 1905 di Larissa Pini che fa riferimento a Ersilia Majno, in Archivio Unione Femminile Nazionale, Fondo Ersilia Majno, cart. IV, b.1, copialettere A (1905 – 1910).
(4) Frase scritta da Ada Negri del giugno 1901 riportata nella bozza di Luigi Majno, “Vita, morte e miracoli dell’Asilo Mariuccia” in Archivio Storico Fondazione Asilo Mariuccia ONLUS, cart. [N.C.] “Mariuccine e Buttafuoco”.
(5) Ada Negri, op. cit.

Bibliografia:

Buttafuoco, Annarita. "Le Mariuccine: Storia di un'istituzione laica, l'asilo Mariuccia." Ed. FrancoAngeli, (1985).
Demi, Cinzia. “Ersilia Bronzini Majno – Immaginario biografico di un’italiana tra ruolo pubblico e privato”, Ed. Pendragon, (2013).

Documenti d’Archivio:

Archivio Unione Femminile Nazionale, Fondo Ersilia Majno.
Fondo Luigi Majno, Civico Archivio Fotografico, inv. LM.
Archivio Storico Fondazione Asilo Mariuccia ONLUS, cart. [N.C.] “Mariuccine e Buttafuoco”.