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La voce degli esperti

Stalking: oltre la pena, scenari per un contrasto sempre più incisivo.

A cura dell’Avv. Andrea Del Corno, penalista, già Consigliere dell’Ordine degli avvocati di Milano.

Fotografia di un reato con alti indici di recidiva: quali interventi tra territorio e giurisdizione per prevenire e per disinnescare l’aggressività dell’autore di reato.
In Italia la condotta di «Stalking» è diventata reato con il decreto legge n.11 del 2009 che ha introdotto il delitto di atti persecutori inserendo nel codice penale l’articolo 612 bis, attraverso cui “è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita…”
L’esperienza dell’aula può portare a prestare attenzione all’età degli autori di questo tipo di condotte e al riguardo si può osservare che gli ultra-sessantenni rappresentano solo il 3% dei casi, l’analisi dei dati statistici evidenzia poi che il 91% dei delitti di atti persecutori è commesso da maschi, mediamente di 42 anni (fonte: Indagine sullo stalking del Ministero della Giustizia, giugno 2014). La condotta che configura in genere il reato di “stalking” è subdola e pericolosissima perché può portare nel tempo, anche breve, ad esiti tragici come quelli che ci riportano pressoché quotidianamente le cronache, senza che la vittima riesca a dotarsi di presidi di tutela idonei o senza che possa percepire in modo chiaro e per tempo la distorsione del comportamento dell’autore di reato. Nel 74% dei casi autore e vittima hanno intrattenuto una relazione sentimentale, ecco perché il tema della prevenzione e informazione è centrale in questi reati con particolare riferimento agli atti persecutori. L’azione persecutoria si colloca quindi in una fase della vita nella quale, per esperienza comune si potrebbe dire, vi è una maggiore propensione a intrecciare un legame affettivo, non a caso sempre il dato statistico ci dice che la maggior parte delle condotte di reato riguarda voler ricomporre il rapporto (50,6%), la gelosia (26,4%), fino all’ossessione a sfondo sessuale (21,1%). Altro dato importante riguarda l’indice statistico di recidiva, elevatissimo. Nel 64% dei casi alla prima denuncia ne seguono altre, ma è possibile che sia maggiore, anche lato sensu, posto che in questi casi non è infatti infrequente nella storia di queste persone la presenza di “reati satellite” (molestie o lesioni ad esempio), che si verificano nella vita relazionale e che ne accompagnano lo svolgimento. Il dato statistico pone quindi l’accento sul target di età rispetto al quale il reato matura, da mettere in correlazione con l’elevato numero dei recidivi.
Si è detto e fatto molto sulla prevenzione rispetto alla figura della vittima di reato, certamente non basta, va fatto di più perché questo aspetto sia oggetto di costante attenzione al fine di disinnescare subito le condotte, o quantomeno interrompere sul nascere una deriva che può portare a conseguenze tragiche. Qualcosa però, a parere di chi scrive, ancora manca sul campo della prevenzione anche in chiave prognostica rispetto alla figura dell’autore di reato.
I numeri di cui sopra indicano che chi commette questo reato deve essere sottoposto ad una valutazione strutturata e attenta per comprendere quale sia il percorso migliore per disinnescarne l’aggressività, nel rispetto delle garanzie di legge, proprio per far uscire l’autore di reato da una possibile reiterazione, nell’interesse generale della collettività ma anche proprio di chi commette l’illecito. Le norme del “codice rosso” hanno previsto una serie di presidi sul piano della prevenzione e della repressione delle condotte, nella fase delle indagini e in quella post processuale: è questa la strada da percorrere, vale a dire mettere in campo tutte le forze per poter agire tempestivamente e soprattutto per inserire l’autore di reato in un circuito che disinneschi la propensione a ricadere nelle stesse condotte una seconda o una terza volta. Come invece accade. Questo presuppone investimenti nelle strutture e nei centri che si occupano di queste problematiche, accompagnati ovviamente da competenza specifica. Più che le forze dell’ordine, deputate al compito decisivo di mettere in sicurezza le vittime, è infatti il presidio territoriale che deve prendersi cura e farsi carico delle posizioni a rischio con tempestività. La misura cautelare personale ha infatti un’efficacia deterrente immediata, la carcerazione ha una funzione repressiva ma spesso poco rieducativa, ma questi istituti non bastano da soli a garantire che il reato non venga reiterato e, soprattutto, possono non essere efficaci o del tutto contenitivi rispetto alla condotta di reato in esame. Chi scrive è a conoscenza ad esempio di casi di stalking attuati dal carcere. Gli operatori dei servizi sociali svolgono una funzione in molti casi straordinaria, ma nella realtà scontano una scarsa organizzazione soprattutto per le insufficienti risorse economiche; il carico di lavoro per ogni singolo operatore è spesso eccessivo e questo è un limite ad attuare interventi più incisivi e prolungati. Ben venga al riguardo, ad esempio, un più ampio coinvolgimento di enti del terzo settore, che potrebbero raccogliere in modo efficiente investimenti in uno schema di intervento sociale molto importante. Si pensi al modello dei lavori di pubblica utilità o comunque legati alla sospensione del procedimento svolti presso enti del terzo settore. Non si tratta di ridurre le garanzie difensive, ma semplicemente di prendere atto che questo reato, collegandosi alla vita di relazione affettiva, ha una natura complessa e l’azione di repressione dell’illecito deve azionarsi anche con una presa in carico del soggetto che mette in atto la condotta. https://webstat.giustizia.it/Analisi%20e%20ricerche/2014%20-%20Rilevazione%20procedimenti%20di%20Stalking.pdf