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La voce degli educatori

21 FEBBRAIO: GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA LINGUA MADRE

Violenza familiare: la lingua del cuore come riparazione emotiva nella relazione mamma-bambino

Di Sofia Leda Salati (pedagogista di FAM)

Quando si accolgono mamme e bambini che hanno alle loro spalle un passato di violenza familiare, è ancora più importante sostenere l’utilizzo della lingua del cuore come strumento di trasmissione delle emozioni, degli affetti primari, delle ninne nanne, delle favole, dei giochi.

Il 21 febbraio si celebra la Giornata Internazionale della Lingua Madre.

La volontà dell’UNESCO di promuovere questa ricorrenza nasce dalla consapevolezza e dal riconoscimento dell’importanza che la lingua madre riveste nei percorsi di apprendimento di chi studia e si esprime in una lingua diversa da quella di origine. L’attenzione è quindi quella di favorire, anche nei percorsi formativi scolastici, lo scambio e la circolazione delle diverse lingue, sottolineandone il valore per l’arricchimento culturale reciproco tra studenti. Questo è giusto e vero per tutte le persone immigrate, ma ancor di più per le nostre ospiti: mamme straniere con bambini che hanno subito violenza.

Per integrarsi nel territorio, nelle comunità, nei percorsi scolastici o lavorativi non si può prescindere dalla conoscenza fluida della lingua italiana che diventa strumento necessario per qualsiasi percorso di emancipazione. Ma se partiamo dalla convinzione che la lingua madre e la cultura di provenienza di ognuno rappresentino elementi qualificanti l’identità personale, appare chiaro quanto necessario sia l’equilibrio tra l’apprendimento della lingua italiana e la conservazione della lingua madre.

Risulta altrettanto imprescindibile riconoscere quanto la lingua madre rappresenti la lingua del cuore, degli affetti, dei ricordi, delle relazioni familiari e come, in quanto tale, concorra a definire l’identità e la propria appartenenza familiare e culturale. Un bagaglio culturale che le società che accolgono migranti dovrebbero riconoscere e valorizzare e sul quale basarsi per fondare un percorso di integrazione reale, che tenga conto della vita precedente all’arrivo in un nuovo Paese e che ambisca ad avvicinare con curiosità e rispetto la realtà di un differente pezzo di mondo.

Per la Fondazione Asilo Mariuccia l’incontro con donne, madri, bambini e adolescenti provenienti da ogni parte del mondo, è esperienza del quotidiano. Negli ultimi dieci anni è infatti aumentato notevolmente il numero di famiglie migranti accolte nelle nostre comunità e negli appartamenti per l’autonomia per mamme e bambini di Milano.

Per conoscere e comprendere le relazioni tra le donne che accogliamo e i loro bambini, ogni giorno scegliamo di accostarci a loro con curiosità e interesse, cercando di comprendere la loro storia, le loro abitudini e le loro credenze. Ogni giorno scegliamo di avvalerci dell’approccio transculturale come strumento che ci aiuta ad interpretare ciò che quotidianamente osserviamo e che a volte non comprendiamo o rischiamo di fraintendere. Lo sguardo transculturale, infatti, ci consente di partire dalle nostre competenze educative, avendo chiaro il nostro ruolo professionale e ciò che sappiamo sui bisogni dei bambini, ma richiede al contempo la capacità di porsi domande, di porsi in ascolto tenendo a bada i pregiudizi e provando a comprendere le diverse rappresentazioni che le donne hanno della maternità e della crescita dei figli.

Risulta necessario ricordare come la migrazione rappresenti di per sé un trauma che molto spesso si rinnova nel momento della maternità, un momento di grande fragilità per tutte le donne, migranti e non. L’educatore che intende proporsi come risorsa per il sostegno alla genitorialità deve quindi cercare di accompagnare verso una armonizzazione delle posizioni tra le culture di origine e la cultura e le leggi del paese che accoglie. E soprattutto deve ricordare che il suo compito è rinforzare le risorse genitoriali, trasmettendo alla madre fiducia nelle proprie competenze e lavorando con lei per implementarne l’autostima, così che possa lei stessa trasmettere competenza e sicurezza al figlio.

Per raggiungere questo importante obbiettivo, uno degli strumenti principali è la promozione dell’utilizzo della lingua madre da parte delle donne nel dialogo con i loro figli. Questo perché la lingua madre è la lingua degli affetti, certamente, ma anche perché la lingua d’origine è quella nella quale la madre si sente sicura, quella che padroneggia e nella quale sa di essere competente, quella nella quale il flusso di pensiero e di parola viaggiano insieme, quella che consente un dialogo ricco ed emotivamente connotato. La lingua madre diventa quindi strumento per implementare la sicurezza e l’autostima della donna e, di conseguenza, lo strumento attraverso il quale trasmettere sicurezza ai figli.

Nelle nostre comunità accogliamo famiglie di provenienze diverse e diamo molta importanza all’utilizzo della lingua italiana come strumento di relazione e comprensione tra tutti i presenti. Garantiamo percorsi di apprendimento della lingua italiana perché elemento dirimente per la costruzione di un percorso formativo e lavorativo che renda possibile il raggiungimento della autonomia economica per le donne che accogliamo. Allo stesso tempo però poniamo molta attenzione a non confondere il dialogo pubblico e i momenti di convivialità tra tutti gli ospiti delle comunità e gli educatori, con il dialogo privato delle donne con i loro figli. Incentiviamo infatti che le donne utilizzino la lingua madre nella relazione con i loro figli, consapevoli che il dialogo fluido, ricco, sicuro e dalle molteplici sfaccettature sia emotive che espressive concorra alla trasmissione della cultura di origine e della appartenenza familiare che rende ognuno di noi maggiormente sicuro in quanto radicato ad una storia, ad un luogo, ad una famiglia. Tutto questo assumerebbe per i bambini caratteristiche di fragilità, sradicamento e insicurezza se avvenisse in una lingua straniera, culturalmente lontana e ancora in fase di apprendimento, in quanto rifletterebbe un’immagine materna fragile e depotenziata.

Come spesso accade nell’incontro tra diverse culture, molto di quanto possiamo osservare oggi può ricondurci con la mente alle nostre esperienze o racconti lontani: quanto parallelismo possiamo ritrovare tra la lingua madre e i numerosi dialetti parlati nelle case dei nostri nonni? Non era forse la lingua italiana altrettanto estranea a chi non aveva accesso all’istruzione scolastica? E il dialogo familiare non avveniva in dialetto invece che in italiano? Le distanze culturali molto spesso non sono così reali come crediamo.